mercoledì 11 novembre 2009

Los Alamos - Cuba - Bluff!



(per contrastare l'umida uggia novembrina propongo un pezzullo estivo scritto in una di quelle soleggiatissime giornate d'agosto con temperatura a 100 Fahrenheit e condizionatore a 1000: grazie all'infame clima di Washington, l'umidità è la stessa; 
è però anche la scusa per infilare qualche nostalgico scatto che risusciti per un istante l'azzurro del cielo) 




(New Mexico Plateau)

Sarà il caldo, sarà l'afa mozzafiato, saranno le zanzare aggressive e cattivissime o forse solo i guasti dell'età: comunque sia, al vostro cronista americano l'estate sbalestra neuroni e sinapsi, stimola associazioni improbabili, connessioni azzardate e sbilenche, temerarie associazioni di luoghi, nomi, paesaggi, eventi storici. 
Un esempio di questi stravaganti frullati mentali è lo sgangherato itinerario di viaggio, perfettamente percorribile e assolutamente dissennato, di certo assente da qualsiasi guida turistica degna di rispetto, riassunto nel titolo: Los Alamos – Cuba – Bluff! 
(il punto esclamativo, seppur facoltativo, sta lì a conferire immeritato sapore d'urgenza ed evocare d'emblée scampate catastrofi). 
Un puro divertissement, ma un po' noir.



(Santa Fe, NM)

Los Alamos
Il presupposto è che il turista abbia già visitato le perle del Nuovo Messico: la bella, costosa e trendy Santa Fe, seconda o terza più antica città degli odierni Stati Uniti, e la vicina e più abbordabile Taos, entrambe profondamente impregnate di sapori ispanici e amerindi. Impareggiabile, per esempio, il villaggio di “indiani” Pueblo alle porte di Taos (se solo Cristoforo Colombo non avesse pigliato quell'incredibile granchio geografico pensando d'aver raggiunto le Indie, risulterebbe oggi più facile chiamare gli autoctoni “Nativi Americani”, ma pazienza). 


 
(Taos, NM: Pueblo)

Dopo aver stancato la fotocamera digitale e razziato le gioiellerie sotto gli splendidi portici di Santa Fe, è dunque tempo di dedicarsi a questioni più serie. La bomba atomica, per dirne una.
E Los Alamos è proprio lì a due passi. 
Non che ci sia un granché da vedere, a Los Alamos. Ma il gusto sta tutto in quell'inevitabile frisson che ti coglie quando stai per metter piede nella cittadina che diede i natali ai primi ordigni nucleari. L'operazione venne varata nel '43, fu battezzata “progetto Manhattan” (forse per depistare le spie?), si sviluppò appunto tra le rigogliose foreste di questo angolo di Nuovo Messico, e culminò nell'agosto del '45 con lo sgancio di due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. 

A prescindere dalle innegabili conquiste scientifiche nonché dalle più discutibili considerazioni su quanto le bombe in questione abbiano accelerato la resa del Giappone, certo è che da queste parti dimostrano di avere un senso dello humor agghiacciante: Los Alamos – dove si fanno scoperte! è il benvenuto a caratteri cubitali che la città offre  al visitatore. Turisti nipponici astenersi.



(Los Alamos, NM: l'ingresso in città)

Cuba
Il tema nucleare, appena abbordato, con un pizzico di fantasia lo si può ritrovare poco dopo. Basta volerlo, basta cercarlo, basta studiare attentamente la cartina:  passata Los Alamos, c'è una strada che porta a Cuba!
La memoria del turista corre alla Grande Paura (maiuscole giustificate) del lontano autunno 1962, allorquando un aereo-spia americano in volo sopra l'isola di Cuba fotografò installazioni sospette. Certo, occorre ricordare che L'Avana aveva appena sventato un maldestro tentativo d'invasione ad opera di esuli cubani addestrati e finanziati da Washington (ci si può chiedere, col senno di poi: perché sbarcare in una baia chiamata “dei Porci”?) 

E va pure detto che, non appena rimediata la figuraccia, la Casa Bianca aveva rilanciato e moltiplicato i tentativi di levarsi di torno Fidel Castro e i suoi barbudos. Tutto questo per sottolineare che Cuba aveva le sue buone ragioni per correre ai ripari e chiedere aiuto all'alleato sovietico. 
Detto fatto: Mosca fornisce a Fidel un po' di missili a testata nucleare e li punta sul gigante americano, l'aereo-spia ci vola sopra e li fotografa, e l'intero pianeta si ritrova a un passo da Armageddon. 

A proposito di film: la storia dei missili è raccontata in una bella pellicola con Kevin Costner: Thirteen Days, “Tredici giorni” - che sono appunto  quei giorni in cui la Guerra Fredda si fece caldissima, intensissima, quando una mossa sbagliata, un'incomprensione diplomatica, un bluff di troppo, mal fatto o mal decifrato, avrebbero potuto significare la fine del mondo.
E allora come può, il nostro turista sgangherato, resistere alla tentazione offerta dalla sua cartina stradale e negarsi l'obliquo, perverso piacere di viaggiare direttamente da Los Alamos a Cuba? 



(Valles Caldera, NM, lungo la statale 126)

Com'è giusto e appropriato che sia, il tragitto è breve ma non facile, la strada è tortuosa, s'arrampica a fatica su per i monti, attraversa incantevoli paesaggi che alternano l'alpino al Far West, sfila lungo una verdeggiante caldera vulcanica, poi all'improvviso finisce l'asfalto e la statale New Mexico 126  si fa umilissima striscia di ghiaia e terra, chiusa al traffico durante l'inverno e ogniqualvolta uno scroscio violento la trasformi in una trappola di fango. Poi, dopo trenta miglia di buche e scossoni, finalmente la “discesa” su Cuba. 





Le virgolette attorno alla “discesa” s'impongono d'imperio alla comparsa del cartello che annuncia il villaggio, conficcato in una lunga pianura avvolta da monti aguzzi e monti mozzati chiamati mesas: Cuba, altitudine 6'905 piedi, ovvero duemilacento metri. L'altopiano, qui, è roba seria.

Se il nome Cuba sia mutuato dall'omonima isola di Fidel o se invece derivi dal termine spagnolo cuba o cubeta (tino, botte, tinozza) è uno dei pochi quesiti che si propongono all'attenzione del viandante. Come tutti i villaggi dall'aspetto languidamente trascurabile e dalla vitalità latitante, con le insegne e i cartelloni che urlano al vuoto, “Cuba ha una storia lunga e interessante”, come recita infatti il sito web del paese. Sarà, ma non si vede. E va bene così, basta il nome. Delle tante Cuba sparse negli Stati Uniti questa, con la sua irriverente vicinanza alla culla della bomba atomica, è forse la più armata di forza evocatrice.


 
(Cuba, NM: Cuban Cafe)

Bluff
Per taluni sarà il richiamo del poker, quando all'ultima mano ti giochi l'orologio e le brache. Per altri il fascino dei duelli tra massimi sistemi, quando signori eleganti e perbene giocano per qualche giorno con razzi e bombe e il destino dell'umanità. A tutti, indistintamente, una località di nome Bluff non può non suonare irresistibile.

A Bluff ci si arriva, da Cuba, con le ombre lunghe della sera, ché così l'inquadratura è perfetta, dopo aver digerito miglia e miglia di allenamento al vero paesaggio da western, infilando stanchi articolati a diciotto ruote che trasportano non-si-sa-cosa verso non-si-sa-dove (ancor più misterioso è perché transitino di qua). 





Carcasse d'auto passate alla pressa sono l'unico carico decifrabile e assolutamente ragionevole sulla statale 550, che scivola verso nord-ovest tra mesas e pali della luce. 
Breve sosta obbligatoria a Four Corners, “Quattro angoli”, l'unico luogo negli  USA dove i confini di quattro Stati si toccano, e il viandante può per un istante credersi un po' Dio Onnipotente, ubiquo: un piede nel Colorado, l'altro nel Nuovo Messico. mano sinistra in Arizona, mano destra nello Utah. Lo fanno tutti, grandi e piccini.

E poi c'è Bluff, fondata nel 1880 da una spedizione di Mormoni (altra storia affascinanate, quella dei Mormoni!). Proviamo a mescolare storia vera e speculazioni nostre: dopo trecento chilometri di marcia i Mormoni, esausti, decidono di essere arrivati nel posto giusto. Sfiancati dalle tribolazioni del viaggio e a corto di fantasia, si guardano in giro, vedono ovunque mesas, pinnacoli di roccia e rossastri dirupi verticali, e battezzano il loro nuovo insediamento: Bluff, che in inglese significa scogliera, promontorio, falesia (come fondare un villaggio in valle di Muggio e chiamarlo Monte). 



(Bluff, UT: Twin Rocks Cafe)


Bluff sono trecento anime immerse in un panorama mozzafiato e  incomprensibilmente intatto: un elegante motel in legno, un ristorante stile John Wayne, un inquietante caffé ai piedi delle Twin Rocks, i Pinnacoli Gemelli, cui chiedi di non franarti addosso come altri e più noti gemelli protesi al cielo. 



(Bluff, UT)


E a due passi, degnissimo coronamento di questo breve itinerario sghembo, mano tanto ignota quanto ispirata ha lasciato lentamente decomporsi al sole e al vento dell'altopiano un vecchio furgoncino Dodge e un'incantevole Buick del '49 o del '50. Come quelle che ancora oggi vivono e soffrono e sbuffano a Cuba (l'isola, non il villaggio). 
Forse lo sospettavi da tempo: a occhi aperti si sogna meglio.

(Bluff, UT)

(copyright testo e immagini: VASCO DONES; inedito)