mercoledì 14 ottobre 2009

L'isola Amish


Per i circa duecentomila Amish d’America, il mondo si divide sostanzialmente in due: da un lato ci sono loro, gli Amish; dall’altro vivono “gli inglesi”, cioè quei trecento milioni di cittadini americani – di varie origini, colori e confessioni – ai quali è stato insegnato che le guerre d’indipendenza di due secoli fa erano state combattute (appunto) contro gli inglesi. Ma tant’è: per come la vedono gli Amish, quella brava gente inglese era e inglese resta – anche sotto la bandiera a stelle e strisce. Forse perché gli “inglesi” (cioè gli altri americani, coi quali gli Amish intrattengono peraltro rapporti spassionatamente cordiali) ogni tanto gliene combinano una grossa.  

Per esempio: quando nel marzo del 1979 la centrale nucleare di Three Mile Island arrivò a un soffio dal produrre la Madre di Tutte le Catastrofi (offrendoci un antipasto di quanto sarebbe poi accaduto a Cernobyl), il reattore in agonia minacciò di trascinare nell’inferno radioattivo non solo mezza Pennsylvania, assetata d’energia come tutta l’America, ma anche una comunità che non aveva mai consumato nemmeno un kilowatt di elettricità: gli Amish della contea di Lancaster, che per ironia della sorte vivono a una manciata di chilometri dalla centrale elettronucleare di Three Mile Island ma si rifiutano cocciutamente di agganciarsi alla rete elettrica.

Quegli stessi Amish, pacifici e pacifisti a oltranza, che pochi giorni fa (NdR: era l'autunno 2006), nella minuscola scuola di Nickel Mines, hanno dovuto raccogliere dieci loro figlie – cinque morte ammazzate, cinque gravemente ferite – imbottite di piombo da un lattaio improvvisamente impazzito: un “inglese”, ovviamente, perché per distribuire il latte bisogna saper guidare il furgone, e gli Amish non guidano mezzi meccanici con motore a scoppio (solo carretti trainati da cavalli, e dalle cui ruote sono banditi i pneumatici perché la gomma è un lusso che renderebbe il viaggio troppo confortevole). 

E non imbracciano un fucile, mai. E quando s’infuriano (raro) non chiamano l’avvocato per farti causa (sarebbe un atto di violenza, secondo loro). E se proprio volessero chiamarlo, dovrebbero uscire di casa, montare in calesse (niente auto, l’abbiamo detto) e raggiungere una cabina pubblica, perché hanno messo al bando i telefoni privati. 

E tra di loro conversano in una strana lingua che gli “inglesi” (con la superficialità dei potenti) hanno avventatamente battezzato Pennsylvania Dutch (“olandese della Pennsylvania”), impropria traduzione del termine Deutsch sentito usare dagli Amish – i quali invece più che olandese parlano tedesco, un tedesco che a ogni germanico suonerebbe arabo, ma che un Confederato di Ostermundigen riuscirebbe in parte a decifrare. Sì, gli Amish comunicano tra loro in una sorta di svizzero-tedesco-alsaziano d’altri tempi. Anche perché svizzero (bernese della Simmenthal, per la precisione) era il loro fondatore Jakob Amman.

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Torniamo dunque in Svizzera per due briciole di storia patria.
Zurigo, Anno Domini 1525: sotto la guida di un certo Felix Manz un pugno di protestanti radicali (oggi li chiameremmo “fondamentalisti”, ma pare che già Martin Lutero li definisse “i fanatici”) si oppongono apertamente a Zwingli: ne contestano la decisione di affidare allo Stato la Riforma della Chiesa, riforma che comunque reputano troppo blanda. E sostengono che la Chiesa ha bisogno di credenti consapevoli: rifiutano quindi il battesimo dei neonati, e si fanno “ribattezzare” da adulti. 

E’ l’inizio del movimento anabattista (dal greco “battezzare di nuovo”). Ma quella di Manz e compari è presto considerata un’eresia e, in accordo coi costumi dell’epoca, i protagonisti della contestazione e i loro seguaci vengono duramente perseguitati (da tutti: cattolici, luterani e calvinisti). Felix Manz sarà affogato nella Limmat, diventando così il primo martire della Chiesa anabattista; altri finiranno bruciati sul rogo, compresi donne, anziani e bambini.

Gli anabattisti – anche detti “la gente semplice” per via del loro stile di vita improntato all’umiltà – si sparpagliano poi per l’Europa, finché un bel giorno trovano il sistema di farla grossa:  prendono il controllo della città di Münster, e lì per più di un anno ne combinano di tutti i colori. Pur predicando non-violenza e rigore morale, si lasciano andare a ogni sorta di nefandezze (stupri inclusi), finché l’esercito lanzichenecco riesce a riconquistare la città. 
La faccenda finisce in un gigantesco bagno di sangue, condito da torture, abiure negate, e gli immancabili roghi. Il movimento anabattista è allo sbando, la sua reputazione distrutta. 
Ritroverà più tardi nuova linfa sotto la guida di un ex sacerdote olandese – Menno Simons – dal quale assumerà il nome di “Chiesa mennonita”. Poi, verso la fine del 1600, lo scisma e la nascita degli Amish per mano del bernese Jakob Amman.

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Su Jakob Amman la storia dice poco. Nato a Erlenbach, nella Simmental, probabilmente nel 1644, Amman era un mennonita che per praticare il suo credo aveva dovuto rifugiarsi in Alsazia. Si sa comunque che Amman – in barba al dichiarato pacifismo mennonita – era personaggio alquanto litigioso. E anche parecchio intransigente: fu infatti lui a insistere sulla necessità di osservare col massimo rigore la Meidung, cioè la pratica di ostracizzare (dunque evitare, mettere al bando) quei fedeli che il movimento anabattista, per un motivo o per l’altro, aveva scomunicato. 
Ed è proprio su questo punto che si consumò lo scisma mennonita: Amman, esigendo una ferrea applicazione della regola dell’ostracismo nei confronti dei ripudiati, scomunicò tutti i mennoniti che non la pensavano come lui (e da taluni venne a sua volta scomunicato), e finì col dar vita al movimento Amish, costola ultra-fondamentalista della Chiesa anabattista. 

Il clima politico europeo di quel tempo, poco incline alla tolleranza, e gli sconfinati orizzonti che parevano aprirsi al di là dell’Atlantico, fecero poi il resto: gli Amish decisero che valeva la pena tentare la sorte nel Nuovo Mondo. 

I primi sbarcarono a Philadelphia nel 1737, attratti dalla promessa del quacchero William Penn di edificare uno stato tollerante e aperto a ogni credo (la Pennsylvania, appunto). Il risultato è che oggi in Europa degli Amish non c’è più traccia: sono tutti nel Nuovo Mondo, alcuni (pochi) in Centroamerica, la stragrande maggioranza negli Stati Uniti, soprattutto in Ohio, Pennsylvania e Indiana. Dove sono ormai oggetto di grande curiosità e rappresentano – loro malgrado - un’importante attrazione turistica.

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Nella contea di Holmes (in Ohio), così come nella contea di Lancaster (in Pennsylvania) – dove vivono le due più consistenti comunità Amish del mondo - le fattorie Amish le riconosci a prima vista: sono quelle prive del cavo di allacciamento alla rete elettrica. 
Se hai fortuna vedrai arrivare anche il calesse, con a bordo gli uomini dalla lunga barba e le donne a capo sempre coperto (se proprio non puoi rinunciare all’istantanea-ricordo, meglio scattarla con discrezione e da lontano: gli Amish non apprezzano foto, tivù, registratori e altre diavolerie simili, e di regola non rilasciano interviste). 

Ma non cercare le chiese Amish: non ci sono. Sembra incredibile che una comunità tanto impegnata a vivere secondo i precetti della Bibbia, ventiquattrore su ventiquattro, non abbia edifici di culto, eppure è una scelta coerente con il ripudio di ogni e qualsiasi oggetto, atto o manifestazione che possa apparire “immodesto”: gli Amish celebrano la funzione religiosa della domenica a casa dei membri della comunità, a rotazione. E solo ogni seconda settimana; in compenso la funzione può durare anche tre ore o più. 

Clero non ce n’è, a parte il cosiddetto “vescovo”, una sorta di “primus inter pares” scelto dal caso – mediante estrazione a sorte - tra alcuni nominativi proposti dai membri della congregazione. La vita è fatta di preghiera e di lavoro: possibilmente nei campi, a mano, con l’ausilio del cavallo e dei macchinari più rudimentali. 

A fianco, sull’asfalto della highway, rombano i possenti fuoristrada dell’americano medio, ma gli Amish non ci fanno caso: tutt’al più vendono agli “inglesi” i loro magnifici quilts, trapunte fatte a mano apprezzatissime dai turisti che invadono le contee Amish nell’illusione di trovarvi un paradiso che non c’è, che non è mai esistito, e che comunque nessuno degli “inglesi” vorrebbe abitare, perché nessun “inglese” ha veramente voglia di tornare a tracciare solchi nei campi con un aratro e due buoi. 
Eppure secondo gli Amish l’atteggiamento corretto di fronte alle cose terrene sta tutto racchiuso in una parola (tedesca, ovviamente): Gelassenheit, rozzamente traducibile con “calma, tranquillità”. 

E per i piccoli quesiti della vita quotidiana c’è Die Ordnung (“L’Ordine”), un compendio di regole aggiornato e rivisto ogni due anni che stabilisce che cosa è lecito e che cosa è vietato (per esempio: elettricità dalla rete no, batterie sì; telefono privato no, cabina pubblica sì; telefono cellulare forse, dipende dalle esigenze; viaggio in automobile sì, ma solo nel ruolo di passeggero). 

Una piccola fetta della comunità sfugge all’obbligo della rigorosa osservanza dell’Ordnung: i giovani tra i quattordici anni (fine della scuola media, massimo livello di studi concesso perché scervellarsi troppo fa male) e i diciotto o venti, allorquando dovranno scegliere se farsi battezzare (e dunque aderire ufficialmente alla Chiesa Amish) oppure lasciare la famiglia, la comunità, la tranquilla Gelassenheit dell’isola Amish, e entrare nel mondo degli “inglesi”

In questa sorta di interregno prima della grande scelta, i giovani Amish vivono il cosiddetto “Rumspringa” (alla lettera: “correre in giro”, ma col significato implicito di “folleggiare”), gli anni in cui è lecito (anche per loro) bere, ubriacarsi, guidare l’auto, ballare, tirare tardi, fare quelle cose più o meno divertenti e più o meno trasgressive che eccitano tutti gli adolescenti d’Occidente. 

Alla fine del Rumspringa si sceglie: o dentro o fuori, o Amish o novello “inglese”. E finisce che - per convinzione, per richiamo divino, o per timore dell’aggressivo mondo che sta all’esterno della sicura e protettiva bolla Amish – il novanta per cento dei giovani Amish decide di restare nella comunità. 
Chissà che cosa avrebbero scelto, fra qualche anno, le cinque ragazze appena falciate dal lattaio “inglese”?

Però la vita prosegue, dicono gli Amish. Con Gelassenheit, con calma e tranquillità, non appena possibile. “Forse citeremo l’evento nel prossimo numero del giornale”, ha confidato al Los Angeles Times Elam Lapp, direttore del settimanale Amish Die Botschaft
Si riferiva proprio al massacro nella scuola di Nickel Mines, ora assediata dai reporter di mezzo mondo. Ma è collaudata prassi del suo giornale, ha chiarito Lapp, non pubblicare articoli su omicidi, guerra, sesso o religione.
Tutto un altro mondo.

(© VASCO DONES; pubblicato sul settimanale svizzero AZIONE nell'autunno 2006)



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