domenica 4 ottobre 2009

Quel ramo del lago di Como


Una modesta proposta tra il serio e il faceto: con l’euro alle stelle e il dollaro in cantina, perché non pensare a una vacanza negli USA? Se ritenete, per esempio, che Roma o Parigi costino troppo, potreste pianificare una capatina nello stato dell’Ohio: ci trovereste sei località chiamate Roma, una Nuova Roma, due Parigi, una Nuova Parigi, una Vienna, una Nuova Vienna, due Berlino e una Berlino Ovest – tutte a costo moderato. Basta non pretendere il Colosseo o la torre Eiffel (quella, come noto, sta a Las Vegas).

Agli eventuali leghisti e simpatizzanti padani è anche offerta l’occasione dell’agognata rivincita: Parma (Ohio) è più grande e più importante di tutte le Rome dello stesso stato. E per i brevi istanti di acuta nostalgia c’è sempre Nuovaberna (proprio così, tutto attaccato: Newbern, Ohio). Ormai, grazie al regista tedesco Wim Wenders, quasi tutti sanno che Parigi è in Texas – ma è anche nel Kentucky, nell’Iowa, nell’Idaho e in una dozzina di altri stati dell’Unione. Come d’altronde Roma, Vienna e Berlino (a proposito: negli Stati Uniti resistono tenacemente, in barba alla caduta del Muro, almeno cinque reincarnazioni di Berlino Est, di cui due nella sola Pennsylvania - ma sarebbe ovviamente errato leggervi rimpianti per la defunta Germania comunista).



(Cuba, New Mexico)

L’apice dello spasso lo si raggiunge però andando alla ricerca del lago di Como, con o senza ramo rivolto a mezzogiorno. Il primo lo scoviamo in Pennsylvania, ma non è un lago bensì un villaggetto di duecento anime affogato tra verdi colline. Una creatura analoga, minuscola e improbabile, sta nel profondo Sud: Lake Como, Mississippi (niente lago, due stagni a mezzo chilometro), accompagnata dalla più consistente Como, Mississippi: milletrecento abitanti, un quarto bianchi e tre quarti neri (ma per favore li si chiami “afro-americani”). Poi c’è il Lario sul grande mare: Lake Como, New Jersey, ridente località affacciata sull’Atlantico con omonima pozza d’acqua dolce a cinquanta metri dall’oceano. E infine – meraviglioso capolavoro d’intesa italo-elvetica – ecco spuntare Lake Como, Wisconsin (cittadina e lago annesso condividono il nome), a solo mezzo miglio da Ginevra e rispettivo specchio d’acqua: Lake Geneva, Wisconsin. Punge vaghezza d’interpellare lo spirito del Manzoni per sentire che ne pensa di quest’ardito accostamento con la città di Calvino…


Ma per quale ragione – cara lettrice, caro lettore – ti racconto tutte queste corbellerie? Per ricordare obliquamente che l’America, giovane figlia del tuo continente, non ti può offrire gli splendori di quel Vecchio Mondo che ha voluto lasciarsi alle spalle, portandosi appresso le etichette nella speranza di rifarne i contenuti. Meraviglie della natura sì, a volontà. Ma niente Acropoli, Pompei, terme di Caracalla, castelli della Loira, palazzi di Versailles (disseminate tra il Connecticut e il Missouri ci sono nove Versailles, ma temo sia meglio lasciar perdere).



(Monument Valley, Arizona)


Vista da qui, dalla pasticciata suburbia di Washington che ospita il tuo umile cronista, l’Europa appare come un enorme e strabiliante museo abitato, di una bellezza quasi oscena, sicuramente provocatoria - da scoprire, gustare e assaporare in ogni angolo con lo stesso spirito con cui si va, appunto, al museo. Ma gli Stati Uniti sono ben altra cosa, soprattutto per il turista. Le grandi città degne d’interesse, attraenti, stuzzicanti e godibili, sono in fondo ben poche: New York, Boston, il centro di Washington, il quartiere francese della martoriata New Orleans, i grattacieli di Chicago, l’impareggiabile San Francisco (qualcuno suggerisce d’aggiungervi Seattle). Le altre sono suppergiù tutte uguali, schematiche, prevedibili, non appagano, non gratificano l’occhio (se insisti, eccoti un paio di perle meno note: Charleston nella Carolina del sud e Savannah in Georgia). L’America, terra dal passato intenso ma brevissimo, non ha – e non può avere - le qualità museali dell’Europa, il suo sfacciato splendore, il suo fascino immediato.



(Offerle, Kansas)

L’America sfoggia un patrimonio naturale grandioso e impressionante, certo, ma la vera bellezza del paese va colta nel suo spirito, nei suoi sogni emigrati fin qui dall’Europa e più tardi da ogni angolo del pianeta, nella sua storia fatta di grandi aneliti, grandi errori, grandi conquiste, e piccole reliquie poco appariscenti. Solo così è possibile digerire, e magari persino apprezzare, le volgari arterie commerciali, i neon rutilanti, le pance obese esibite al barbecue del sabato pomeriggio, i quartieri in falso stile colonial-neo-tradizionale che sembrano usciti dall’irresistibile Truman Show. Andare a zonzo per l’America significa visitare un’idea più che un territorio; significa fare il turista in un grande progetto, un immenso e disordinato laboratorio, spesso francamente bruttino: meglio saperlo in partenza.

Ma se il quattro luglio tu dovessi per caso ritrovarti nella decaduta e impoverita Filadelfia, città della Dichiarazione d’Indipendenza e prima capitale dell’Unione, siediti sul bordo del marciapiede e assisti al corteo: davanti ai tuoi occhi vedrai sfilare rappresentanti di tutti i popoli del mondo, accomunati sotto la stessa bandiera non in nome di un’etnia, di una religione o di una lingua, ma in virtù di un progetto. Nata sul genocidio della popolazione pellerossa e marchiata dal terribile peccato dello schiavismo, l’America di oggi è comunque questa, piaccia o non piaccia: un’idea che arranca a fatica, più volte tradita e sempre rilanciata, un po’ confusa e impaurita, ma che per fortuna non ha ancora gettato la spugna.

Spero.

(© VASCO DONES; 

pubblicato sul settimanale svizzero AZIONE nell'estate 2007)



(Washington, DC, 20 gennaio 2009:
Inauguration Day)



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